L’arte di punire gli anziani e precettare i giovani


Alessandria: Il ministro Franceschini, responsabile dei beni Culturali, ha in questi giorni messo a segno due colpi formidabili contro i veri responsabili del degrado dell’ italico patrimonio artistico: i sessantacinquenni e i lavoratori addetti ai servizi. E’ una conferma del fatto che il governo Renzi sia davvero un gabinetto del fare. Che queste nuove misure ce le chieda l’ Europa, ça va sans dire: balla più, balla meno, chi se accorgerà mai?
Partiamo dagli anziani: in genere pensionati, in genere privilegiati, perchè dopo una vita di lavoro non tutti sono costretti a rimediare un piatto alla Caritas – indice, questo, di un trattamento di quiescenza intollerabile in un paese moderno. Perchè diavolo pretendono di entrare gratuitamente a visitare una mostra o un museo? Cos’hanno dato al Paese, in fondo, se non quarant’anni di fatica? Pretenderanno mica di farsi una cultura a quell’età, e a spese dello Stato? Esistono ancora, a ben cercare, i piccoli bar di periferia in cui trascorrere il loro troppo tempo libero giocando a carte al prezzo di un caffè o di un bianchino. Ci sono le panchine dei giardini pubblici, e se proprio fa troppo caldo o freddo possono
sempre rifugiarsi negli sterminati corridoi dei centri commerciali, forniti di aria condizionata, senza neppure l’obbligo di comprare qualcosa (anche se, per far girare l’economia, tra i centomila prodotti in vendita qualcosa potrebbero pur comprarla…)
Ironia a parte, colpisce che anche in questo caso si sia voluta accentuare la contrapposizione tra i “giovani”, cui dovrebbe essere garantito l’ingresso gratuito o quasi, e i “vecchi”, quasi che l’essere vecchio, o anziano, in Italia, dovesse  essere considerata un’ aggravante e non una ragione di maggiore attenzione e disponibilità. Un po’ ripugnante, inoltre, l’assimilazione  tout court degli anziani nostrani con i ricchi turisti giapponesi o statunitensi o tedeschi: l’età non fa reddito, e in Italia meno che mai.
Se poi pensiamo all’intollerabile scandalo delle chiusure temporanee dei luoghi d’arte e di cultura per “assemblea sindacale” o, peggio ,“sciopero” (libera nos, domine!), scopriamo come il ministro Franceschini abbia colto nel segno, individuando non nell’incuria strutturale e congenita in cui versa il nostro patrimonio, causata da un’insipienza e da una miopia politica dei più svariati governi,  ma all’ inconsulta conflittualità dei dipendenti – che ora si vuole giustamente precettare -, incapaci di accettare il fatto che i loro salari arrivino a stento alla metà di quelli dei loro colleghi europei.
Per ammissione dei dirigenti stessi del ministero dei Beni Culturali, non si conosce neppure il numero reale dei lavoratori precari che garantiscono l’ apertura al pubblico di musei, pinacoteche, luoghi di interesse storico e artistico in Italia: il che significa che al ministero non conoscono neppure le condizioni di sfruttamento e di precarietà di tutte queste persone, aggrappate a un contratto “atipico” o vittime di sedicenti cooperative o imprese di servizio in cui vige la sola regola dell’arricchimento dei rispettivi “manager”.
Sappiamo che il ministro Franceschini è figlio di un partigiano, di uno di quei “giovani” che, settant’anni fa, rischiarono la propria vita per costruire un’Italia più giusta e più attenta ai diritti dei più deboli. Pensando al renziano Franceschini, è proprio il caso di dire che non ci sono più i giovani di una volta.
Piercarlo Bina
CUB Alessandria

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